AVEVO BISOGNO DI UNA NUOVA AVVENTURA
NOTA PER INQUADRARE IL CONTESTO
Non sono scuse o lamentele, anche perché nel frattempo ho finalmente creato Wild Tee, ma una premessa per comprendere meglio il processo di recupero da un momento difficile.
Il 17 novembre 2015 dopo più due anni di sofferenza decido di fare l’operazione al tendine d’Achille destro. Mi dicono che in tre mesi potrò tornare a correre.Non so veramente come organizzare gli allenamenti e la stagione. M’iscrivo o non m’iscrivo? E’ il mio mantra. Non sono particolarmente ottimista di natura ma accetto la sfida. Un triathlon lungo a giugno, una gara impegnativa ad agosto. Aver terminato al Western State in poco più di venti ore mi da diritto all’iscrizione alla Spartathlon e non mi piace lasciare per strada (letteralmente) un occasione anche se nel momento in cui confermo la mia iscrizione non riesco a correre per più di mezz’ora. Dopo sei mesi il piede è ancora gonfio, mi fa male e fatico ad appoggiarlo bene. Cerco di non pensarci e faccio molta bici e nuoto. Fare qualcosa di diverso (dalla corsa) è un’ottima strategia, non so se sto andando bene o male, non ho punti di riferimento. Cosi, cerco di crearmeli per acquisire quella confidenza psicologia che mi servirà per affrontare la prima prova. Devo nuotare 3,8 Km allora ne nuoto 4, devo pedalare per 180 Km un giorno decido di andare a trovare i miei in Liguria da Milano e ne percorro 200, devo correre per 42 km provo a zoppicare per 44. Con questa consapevolezza concludo il mio triathlon. E’ il momento di tornare a correre in montagna. Correre è talmente meraviglioso che non mi accorgo che lo faccio tutto storto per cercare di appoggiare il meno possibile il piede destro. La caviglia va in protezione del tendine e si blocca, senza rendermene conto comincio a perdere la muscolatura del polpaccio e della coscia. Quello che doveva essere un progressivo miglioramento si rivela un regresso. Mi rendo conto che sarà veramente dura, rivedo i miei piani e riesco, comunque, a trovare immensa gioia in un paio di gite in montagna che mi era mancata molto. Arrivo alla gara di agosto molto stanco e un po’ sfiduciato, infatti, mi ritiro prima ancora che le vere difficoltà comincino. Lì per lì mi sembrava la decisione migliore, ma come sempre succede per le decisioni poco ragionate, nei giorni successivi me ne pento amaramente. Potevo farcela e invece ho mollato, come farò a fare 246 Km in un numero di ore che non ho mai corso?
L’ULTRAMARATONA
Non ho mai corso molto su strada, pur vivendo a Milano, l’unica 100 km che ho fatto era per metà sui sentieri e con 3000 m di D+.
Come sempre, quando non conosco un argomento, cerco dei punti di riferimento. Già, ma per una cosa così grande dove li trovo?
Cerco di guardare i tempi delle passate edizioni ma mi sembra tutto impossibile e lontanissimo da me in questo momento. D’altra parte la consapevolezza che l’obiettivo sia troppo grande per le mie capacità, con il passare dei giorni, m’infonde tranquillità. Quando il numero delle incognite è troppo elevato per essere controllato, non c’è altro da fare che accettare la situazione, affidarsi al metodo #cazzomannaggia e prendere le cose come vengono, affrontandole una per volta. Accetto la sfida, parto e vediamo dove riesco ad arrivare.
Mi renderò conto, solo strada facendo, che questo è una delle caratteristiche del corridore di ultramaratone.
LA GRECIA
Sono tanti anni che non torno in Grecia. Se non ricordo male l’ultima volta che ci sono stato, sono sceso dal traghetto Brindisi-Patrasso con il mio amico Cacio e una bottiglia di whisky mezza vuota in mano, ora ci torno per correre a piedi da Atene a Sparta. Non so ancora quale sia la cazzata più grande.
In albergo siamo con gli atleti dell’Est e quelli del Nord Europa, fa veramente impressione vedere un albergo pieno di atleti che corrono mediamente all’anno molti più chilometri di quanti l’italiano medio ne faccia in macchina. Una sera a tavola per distrarmi, cerco di fare la somma dei chilometri percorsi dagli atleti in sala, ma velocemente perdo il conto. Mi sento un pesce fuor d’acqua, me ne sto in disparte e cerco di carpire i loro segreti. Osservandoli mi rendo, subito, conto che non c’è nessun segreto da scoprire. Le persone che ho di fronte sono una selezione mondiale degli umani con il più alto grado di umiltà e determinazione allo stesso tempo.
Con questo stesso atteggiamento faccio il mio primo passo dal Partenone di Atene verso Sparta.
Abituato a correre in un contesto naturale, i primi chilometri sono veramente al limite delle mie possibilità. In partica corriamo sulla tangenziale nella corsia di emergenza in senso contrario al traffico di punta che sfreccia per entrare ad Atene. Cerco di non pensare ai camion che ci sfiorano e in breve mi adatto alla situazione e comincia il viaggio. Per raggiungere la meta bisogna procedere, andare avanti qualsiasi cosa succeda, magari sempre più piano ma senza fermarsi.
Ah già, dovrei scrivere della gara, ma è il contorno della gara che mi affascina sempre di più. I visi e l’abbigliamento dei corridori rapiscono la mia attenzione. Anche l’abbigliamento dei concorrenti rispecchia la loro umiltà. Forse perché la gara è volutamente ”sponsor free” e ci hanno chiesto di non mostrare loghi commerciali, ma vedo correre atleti con abbigliamento e scarpe vissute, magari solo per il loro valore affettivo e motivazionale. L’aspetto tecnico è totalmente irrilevante, tutti sanno benissimo che è una gara che si finisce indipendentemente da come si è vestiti o da che scarpe s’indossa.
Alle dieci comincia a fare caldo. Dopo il primo ristoro importate di Megara comincia un tratto lungo la costa molto bello. Poche macchine, sali e scendi con il mare di fianco. Già il mare, comincio a immaginarmi la sensazione dell’acqua fresca mentre m’immergo….invece continuo a correre senza farmi distrarre come Ulisse con le Sirene. In effetti, stiamo attraversando la Grecia culla della mitologia antica.
Per la prima volta cerco di fare due calcoli, abbiamo appena concluso la prima maratona...delle sei che dobbiamo correre….no meglio non fare calcoli!
Se prima c’era il mare ad attiraci ora stiamo attraversando una raffineria che non sembra avere molto cura dei suoi idrocarburi incombusti. Con l’aria che respiriamo, si potrebbe far funzionare un motore a scoppio. Seguendo questa riflessione, in rapporto a quanto poco sta consumando il mio corpo senza inquinare, arrivo allo stretto di Corinto che mi traghetta nel Peloponneso.
Lascio perdere le disquisizioni filosofiche perché c’è da correre velocemente fino al prossimo check point dove c’è il cancello orario più stretto di tutta la gara e ci voglio arrivare con un po’di anticipo per fare il punto della situazione con Irene che mi segue. Fin ora lei ha avuto tutto il tempo per organizzarsi e precedermi ma d’ora in poi i ristori dove è autorizzata l’assistenza saranno più frequenti e ci tengo a condividere con lei questi momenti del nostro viaggio.
IL CALDO
Fa veramente molto caldo mentre ci dirigiamo verso Corinto antica e io comincio ad essere cotto. Ho passato il cancello più importante ma se penso che da qui a Sparta mancano ancora più di 160 chilometri, mi cedono le gambe. Mi rendo conto che questa non è una gara ma un viaggio, è totalmente ininfluente che io venga superato o che superi altri concorrenti. Ognuno di noi è entrato oramai nella sua bolla e ha deciso di puntare la propria attenzione solo su se stesso tralasciando tutto ciò che avviene al di fuori. Solo ora, mi accorgo di avere un muscolo della coscia sinistra contratto in malo modo. Non ho nessuna velleità di tempi o classifica, così quando vedo montare un lettino chiedo se si posso avere un massaggio. Nel frattempo pratico dei buchi nella mia maglietta, sorrido sapendo che il mio amico Paco apprezzerà il gesto. A riprova delle sue competenze il ragazzo capisce subito che il problema è originato dal fatto che non appoggio correttamente la gamba destra. Lo ringrazio, guardo il bozzolo sulla coscia e riparto. La magia del lungo viaggio continua, qualsiasi problema mi si presenta, lo vedo, lo analizzo ormai con distacco e lo archivio fino alla fine della gara.
Nei ristori principali mi siedo e cerco di mangiare qualcosa. E’ una tecnica che ho imparato negli ultimi anni, ma che mi consente di mettere qualcosa nel mio stomaco malandato. Vedo che in questo modo quando riparto, raggiungo sempre lo stesso gruppetto di concorrenti.
Corriamo sempre in strada, quando attraversiamo i piccoli paesini per non continuare a salire e scendere dai marciapiedi corriamo letteralmente in mezzo alla strada. Gli uomini sembrano meno interessati, quasi infastiditi dal nostro passaggio, mentre spesso dai balconi arriva un forte incitamento da parte di qualche anziana signora.
L’incoraggiamento più bello è quello che riceviamo delle classi di bambini che attendono in strada il nostro passaggio. Mi chiedo, quanti di loro, un domani, proveranno a correre da Atene a Sparta?
Come spesso accade quando si affronta qualcosa di molto più grande di se, il nostro cervello è obbligato a selezionare e ad affrontare solo le cose più importanti. Come quando hai paura perché pensi di essere in pericolo, ragioni molto più velocemente, tralasciando tutti i dettagli inutili e ti concentri solo su ciò che ti può far allontanare dal pericolo. Sono un po’ in difficoltà in questo tratto di gara, per continuare ad andare avanti mi concentro su poche cose, come andare avanti, bere, mangiare qualcosa tralascio tutto il resto e mi lascio trasportare dal mio corpo. Non mi ricordo molto di questo tratto di gara, i particolari sono svaniti nella mia memoria.
Si avvicina la sera, fatico ad alimentarmi. Sono così dentro il percorso che invece di preoccuparmene, come farei normalmente, non ci faccio quasi caso. Per natura non sono ottimista, ma dopo 120 chilometri sono immerso in un fatalismo cosmico e mi convinco che è solo un problema momentaneo che, prima o poi, passerà. Finalmente i chilometri che mancano all’arrivo cominciano a essere meno di quelli percorsi.
LA NOTTE, MAGIA E CRISI
Siamo su una sterrata ormai lontani dalle strade e dai paesi quando come in trance alzo lo sguardo e vedo il cielo stellato. E’ pazzescamente bello! Una stella cadente enorme lascia la sua scia in cielo prima di scindersi in due più piccole. Il mio desiderio è molto semplice: arrivare a Sparta sulle mie gambe.
La distanza da percorrere è, ancora, enorme. Sono curioso di vedere cosa succederà quando cercherò di superare i miei limiti attuali (170 Km e 26 h). E’ come se fossi spettatore di un film che sta entrando nel vivo della storia.
Comincia la notte e un gran sonno mi assale progressivamente. Non ho mai dormito in gara, anzi di solito, anche la notte dopo una competizione, fatico a dormire. Invece di cercare di resistere e lottare contro il sonno, decido di giocarmi un po’ del vantaggio che ho sui cancelli orari, accasciandomi su una panca di legno vicino a una casa. Appena mi sdraio, mi addormento con la frontale ancora accesa in testa. Non so quanto tempo sia passato, ma mi sento meglio e procedo.
Rivedere Irene è sempre una gioia. Spero che sia riuscita a dormire un po’ anche lei perché ora le nostre strade si divideranno.
Noi saliamo quella che tutti chiamano la “montagna”, mentre gli accompagnatori in macchina devono farne il giro alla base. La “montagna” non ha un nome preciso, ma per chi corre in piano da 150 chilometri 900 metri di dislivello su sentiero rappresentano una vera e propria “montagna” da scalare.
Il fresco della notte mi rigenera e recupero un po’ del tempo perso sui cancelli. A ogni check point un cartello indica la distanza percorsa, quella da percorrere e l’orario di chiusura del ristoro. Speravo di arrivare a questo punto con un vantaggio maggiore. Cerco di recuperare ma comincio ad avere freddo nonostante sia molto coperto. Non mi aspettavo di vomitare con il freddo, ero preparato a che accadesse di giorno con il caldo. Non mi spavento è una cosa che mi capita spesso, purtroppo lo stomaco è sempre stato il mio punto debole. Non sono ancora riuscito a capire come mia ma a un certo punto smette di collaborare. Procedo cercando di bere e mangiare il meno possibile. Non ho altra possibilità che quella di rallentare.
Spesso in gara, soprattutto ultimamente, in situazioni come questa penso “ma chi me lo ha fatto fare?”, invece durante questo viaggio, spinto dalla curiosità di vedere cosa accadrà dopo procedo, con estrema calma, qualsiasi cosa succeda.
Sempre più mi convinco che le migliori doti di un’ultramaratoneta siano la determinazione e la pazienza.
Il mio vantaggio rispetto ai cancelli si riduce, cerco di mantenere una velocità di crociera più lineare possibile. Tra poco sorgerà il sole e sarà un nuovo giorno.
L’alba ci raggiunge su una piana nebbiosa, come i nostri pensieri. Il secondo giorno di corsa comincia. Oramai mi trovo in una dimensione diversa in cui mi vedo correre dall’esterno, come se fossi un'altra persona sulla quale però esercito ancora un certa influenza.
LA SVOLTA
Non so bene, in base a quale calcolo, ma quando arrivo al centosettantunesimo (si fa fatica anche a scriverlo) in preda ad una strana euforia batto sul vetro della macchina dove Irene sta dormendo e le comunico che andiamo a Sparta.
Il mio stomaco non si è ancora rimesso a funzionare, i ristori non offrono molto, ma contro ogni logica decido di giocarmi la carta greca. Si narra, infatti, che i migliori corridori greci mangino yogurt e miele. Ci mette un po’ ad andare giù ma mi sistema lo stomaco. Ricomincio a bere e mangiare qualcosa. Così a sessanta chilometri da Sparta, quando mi immaginavo di non farcela più riprendo a correre.
Il sole comincia a scottare di nuovo, implacabile come il giorno prima.
Recupero sui cancelli, comincio a superare gli altri concorrenti e riduco le soste solo per riempirmi la borraccia a mano e il cappello di ghiaccio. Due espedienti che ho imparato alla Western States. All’inizio la testa fa male come quando si mangia un gelato troppo velocemente poi, progressivamente, la sensazione di benessere aiuta a non disperdere energie per il raffreddamento dell’organo più importante del nostro corpo.
Oramai il mio corpo si adattato alla situazione, a questa velocità scopro che consuma ancora meno di quello che pensavo.
Durante l’attraversamento di un paesino alcuni bambini sono in strada con un quaderno in mano. All’inizio non capisco bene, sono lì ad aspettare noi per chiederci un autografo o una dedica. Arrivato a questo punto, siamo nudi senza protezioni e le emozioni sgorgano a fior di pelle. Mi fermo e con la mano tremante cerco di scrivere il mio nome e numero di pettorale sul foglio in mano ad una bambina dell’età di mia figlia. Non riesco a trattenere le lacrime e quello che scrivo si bagna, mi dispiace infinitamente ma non so come asciugarlo. Nelle due ore successive mentre ripenso a questo episodio mi viene la pelle d’oca nonostante i trentacinque gradi. E’ un po’ come quando stai vincendo una gara, mentre corri se ci pensi ti emozioni e la fatica scompare e per un attimo corri più forte.
Nella discesa finale il caldo aumenta sempre più, le gambe mi fanno un male pazzesco, ma cerco di correre, voglio arrivare.
Quando hai percorso duecentotrentasei chilometri pensi che ce l’hai fatta e contemporaneamente che ancora tutto può succedere.
Mi stupisco che nonostante tutto sono ancora lucido per vivere a pieno tutte le emozioni che sto provando.
Riuscire a correre anche dopo duecentoquaranta chilometri è meraviglioso. Mi sono sempre chiesto se ci sarei riuscito.
Gli ultimi chilometri sono una festa, tutti ci salutano e ci congratuliamo tra di noi corridori mentre percorriamo le vie di Sparta.
Gli ultimi duecento metri sono quelli che cambiano la vita di un podista, un po’ come l’arrivo alla Place de l’Eglise a Chamonix per un trailer. I bambini corrono al mio fianco nel rettilineo finale fino alla statua di Re Leonida.
Fare qualcosa di diverso, sconosciuto, con mille incognite rinnova lo spirito d’avventura che ci spinge a fare cose più grandi di noi.
P.S.: Le T-shirt Wild Tee hanno superato il test alla grande!